AURORA BOREALE
Ai miei primi anni… infermo ero e lontano
da tombe amate… udivo dei compagni
il suon del sonno, uguale e piano,
sommosso da improvvisi lagni;
e, solo, e come chi non sa se giunga
mai, troversava con il mio martirio
io tutta l’oscurità, lunga,
con, sopra, il fisso occhio di Sirio.
E nella notte giovinetto insonne
vidi la luce postuma, lo spettro
dell’alba: tremole colonne
d’opale, ondanti archi d’elettro.
E sotto i flessili archi e tra le frante
colonne vidi rampollare il flutto
d’un’ampia chiarità, cangiante
al palpitare del gran Tutto.
Ti vidi, o giorno che dalla grande Orsa
inopinato esci nel cielo, e trovi
le costellazïoni in corsa
dirette a firmamenti nuovi!
Ti vidi, o giorno che su l’infinita
via delle nebulose ultime e sole
appari. M’apparisti, o vita
che splendi quando è morto il sole.
Un alito era, solo, per il miro
gurge, di luce; un alito disperso
da un solo tacito respiro
e che velava l’universo:
come se fosse, là, per un istante,
immobile sul sonno e su l’oblio
di tutti, nella sua raggiante
incomprensibilità, Dio!